Differenze tra allevamento amatoriale e professionale

Differenze tra allevamento amatoriale e professionale

Che differenza c’è tra un allevamento professionale e uno amatoriale? Nella definizione di allevamento sono ricomprese varie realtà, che spesso risultano dissimili tra loro.

L’allevatore, ossia colui che è addetto all’allevamento di animali da compagnia, ad esempio, può svolgere questa occupazione sia in maniera professionale sia a livello amatoriale.

In entrambi i casi si utilizzerà il termine allevamento, ma ci troveremo davanti a due attività sostanzialmente diverse sia dal punto di vista delle autorizzazioni sanitarie necessarie che degli obblighi fiscali richiesti per l’impresa agricola.

Andiamo a vedere nel dettaglio quali sono le caratteristiche di un allevamento professionale e di uno amatoriale e se esiste tra i due una diversità anche dal punto di vista legislativo.

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Che cosa si intende per allevamento amatoriale

L’aggettivo amatoriale fa riferimento a quelle attività che sono svolte per semplice diletto, in quanto chi le esercita è privo di una qualifica professionale.

Anche gli allevamenti amatoriali, però, per essere definiti come tali, devono rispettare dei parametri stabiliti dal Legislatore.

Questi ultimi sono stati illustrati accuratamente nella legge 349/93, “Norme in materia di attività cinotecnica”, che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nel settembre del 1993.

L’articolo 2 di questa legge distingue l’attività di allevamento professionale da quella amatoriale, riconoscendo agli allevatori professionisti la qualifica d’imprenditori agricoli, qualora i profitti derivanti da tale occupazione superino quelli che provengono dallo svolgimento da parte dei suddetti di altre attività professionali non agricole.

Gli allevatori amatoriali, invece, se i proventi che derivano dall’allevamento non superano le spese sostenute, non sono obbligati per legge alla dichiarazione dei guadagni, mentre lo sono qualora la differenza tra i ricavi ed i costi di gestione risulti positiva.

In questo caso i guadagni dovranno essere dichiarati come redditi “occasionali”, ossia derivanti da attività commerciali svolte in maniera occasionale (indicati come “redditi diversi” nella dichiarazione dei redditi).

Da tenere ben presente che se si produce una sola cucciolata all’anno ma per più anni, anche non consecutivi, questa fiscalmente non può essere considerata prestazione occasionale.

Il numero delle fattrici negli allevamenti amatoriali, inoltre, deve essere inferiore a cinque, così come il numero di cuccioli nati annualmente deve essere inferiore a trenta.

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Obblighi dell’allevamento amatoriale

Riassumendo l’allevatore amatoriale è in sostanza un privato che:

  • non ha obblighi fiscali se alleva meno di cinque fattrici e/o trenta cuccioli anno (in Emilia Romagna la normativa Regionale è molto più restrittiva e pone il limite a 3 fattrici e/o 10 cuccioli all’anno) – Legge Regionale 17 Febbraio 2005, n. 5
  • non possiede partita IVA
  • non è iscritto alla Camera di Commercio
  • non possiede autorizzazioni sanitarie ma può essere soggetto a controlli da parte delle ASL
  • può avere affisso ENCI (ma questo non determina l’etica dell’allevamento, basta pagare per averlo)

Che cosa si intende per allevamento professionale

Le caratteristiche di un allevamento professionale di Labrador, come abbiamo già accennato, sono anch’esse indicate nella legge 349/93, che conferisce lo status d’imprenditori agricoli a quegli allevatori i cui guadagni derivanti da allevamento, selezione e addestramento delle razze canine siano maggiori di quelli ricavati da occupazioni di natura diversa (non cinotecniche).

In un allevamento che possa definirsi professionale, inoltre, è necessario avere un numero di fattrici superiore a cinque ed il numero di esemplari nati per anno deve superare i trenta.

Obblighi dell’allevamento professionale

La differenza tra un privato (amatoriale) e un allevamento professionale (imprenditore agricolo) dotato di tutte le autorizzazioni è molto grande per i seguenti punti:

  • avere la partita IVA
  • iscrizione alla CCIAA (Camera di Commercio)
  • emettere documentazione fiscale con fatturazione elettronica
  • avere autorizzazione sanitaria (ASL) necessaria da esporre pubblicamente
  • tenere registro di carico e scarico per la movimentazione dei cuccioli e adulti
  • tenere registro degli interventi sanitari (vaccini, farmaci, ecc…)
  • tenere registro di scarico dei rifiuti, in cui sono riportati dati inerenti alla tipologia e alla quantità di rifiuti prodotti, che ogni anno vanno comunicati al Catasto.
  • certificazione d’inizio attività (SCIA) allo Sportello unico per le attività produttive (SUAP)
  • in Emilia Romagna, ad esempio, si deve aver frequentato il corso “Tutela e benessere animale” per ottenere l’idoneità al commercio, allevamento, addestramento e custodia di animali da compagnia
  • autorizzazione ufficio tecnico comunale

L’allevatore professionale ha costi fissi di mantenimento della struttura e dei suoi cani (cibo, acqua, luce, gas, accessori, farmaci, gare, viaggi) anche quando non ha cuccioli.

Nelle diverse regioni sono stati fissati dei limiti differenti, che consentono di discriminare le attività svolte in maniera continuativa da quelle occasionali, che vanno rispettati, così come può differire la procedura per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Servizi Veterinari delle ASL.

In Emilia Romagna la normativa Regionale che impone obblighi ASL è molto più restrittiva rispetto alle altre regioni e pone il limite a 3 o più fattrici e/o 10 cuccioli all’anno

  1. Per attività connesse al commercio di animali di affezione si intendono le attività economiche, quali gli allevamenti, la vendita di animali, le pensioni per animali, la toelettatura e l’addestramento. Sono esclusi da tale definizione le strutture veterinarie pubbliche e private.
  2. Per “allevamento di cani e gatti” si intende la detenzione di cani e di gatti in numero pari o superiore a tre fattrici o dieci cuccioli l’anno. Se tale attività è svolta fini di lucro rientra nelle attività di cui al comma 1 ed è soggetta a quanto previsto nel comma 3. Se tale attività è svolta a fini amatoriali e non a fini di lucro, chi la esercita deve presentare una dichiarazione presso i Servizi veterinari delle Aziende Usl competenti per territorio. Per le altre specie di animali di affezione, per “attività di allevamento” si intendono esclusivamente quelle esercitate a fini di lucro.
  3. Chi esercita le attività economiche di cui al comma 1, fatti salvi i divieti fissati dalle norme CITES (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate da estinzione del 3 marzo 1973) per il commercio e l’allevamento di animali esotici, deve presentare segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) allo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) competente per il territorio in cui ha sede l’attività allegando la scheda tecnica e relativa planimetria dei locali e indicando:
    a) la tipologia dell’attività svolta;
    b) le specie che possono essere ospitate presso la struttura;
    c) la conformità della struttura a quanto prescritto negli atti della Giunta regionale;
    d) la descrizione delle attrezzature utilizzate per l’esercizio delle attività;
    e) il nome della persona responsabile dell’assistenza degli animali, in possesso di qualificata formazione sul benessere animale; detta formazione è ottenuta mediante la partecipazione a specifici percorsi formativi che abbiano i contenuti individuati in apposito atto della Giunta regionale.
  4. Il titolare dell’attività di cui al comma 1, a esclusione dell’attività di toelettatura, esercitate per cani, gatti e furetti è tenuto ad aggiornare un registro di carico e scarico in cui figuri anche l’annotazione della loro provenienza e destinazione.
  5. Sono esclusi dall’applicazione del presente articolo i cani di proprietà delle forze armate e dei corpi di pubblica sicurezza.

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Allevatori professionali e amatoriali: microchip e pedigree

Che si tratti di allevamenti professionali o amatoriali, ci sono alcuni elementi che sono fondamentali per avere la certezza di essere incappati in un allevamento serio.

In questo caso, infatti, le razze di cani allevate non sono mai troppe, preferibilmente una o due, e questa iperspecializzazione sarà fondamentale al fine di generare dei cuccioli sani sia dal punto di vista fisico che psichico, che sin dai primi momenti della propria esistenza riceveranno tutte le cure e le accortezze necessarie alla razza in questione.

È essenziale, in ogni caso, che ciascun cucciolo di razza sia dotato di pedigree ENCI, che è per l’animale un vero e proprio documento di riconoscimento, la cui richiesta prevede la compilazione del modello A per l’intera cucciolata, cioè la denuncia di monta, non oltre i 25 giorni dalla data di nascita e del modello B per ciascun cucciolo non oltre i 90 giorni.

L’iscrizione di un soggetto, da parte dell’allevatore o privato, ai registri del Libro genealogico è obbligatorio per legge nel caso si tratti di un cane di razza (Decreto Legislativo n. 529 del 30 dicembre 1992 nonché la direttiva Europea n. 91/174/CEE).

Ricapitolando, per essere considerati allevatori non è necessario che il numero di cuccioli generati ogni anno sia alto, ma quando questa attività viene svolta in maniera occasionale e non ripetitiva si verrà considerati degli allevatori amatoriali.

Riassumendo: Un proprietario di un cane di sesso femminile che provveda a produrre con esso una cucciolata, per la legge diventa automaticamente un allevatore.

Purtroppo i pochi controlli che vengono fatti dalle autorità e la scarsa legislazione che regola l’attività di allevamento amatoriale fa si che nel nostro paese regni una giungla di abusivi e pseudo allevatori, a cui basta intestare i cani a parenti per eludere la normativa e avere redditi costanti non dichiarati.

Questo comporta dei vantaggi dal punto di vista dell’assetto fiscale se, come abbiamo visto prima, i guadagni non superano le spese sostenute, ma molto spesso vi è un’effettiva difficoltà nel verificare se ciò davvero sussiste, il che lascia spazio all’abusivismo dilagante e alla disonestà di molti sedicenti “allevatori amatoriali”, che in maniera truffaldina celano i propri profitti non dichiarandoli.

Completamente differente è la posizione degli allevatori professionali, che devono richiedere molte più autorizzazioni e devono provvedere alla registrazione accurata della movimentazione dei cani allevati.

Quest’ultima è un dovere anche degli allevatori amatoriali, in maniera diversa con una semplice cessione dall’anagrafe canina senza obbligo di registri, così come lo è garantire che i cuccioli venduti e gli animali destinati alla riproduzione siano sani e che ciascun esemplare risulti del tutto tracciabile, in quanto provvisto di microchip, la cui applicazione non spetta mai all’acquirente nel caso di un cucciolo.

Chiariamo, infine, che sia un allevatore professionale sia uno amatoriale possono fare richiesta di affisso ENCI e d’iscrizione al registro allevatori del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, non essendo stati indicati dagli enti in questione dei criteri per differenziarli, ma solo per l’ottenimento di marchi di riconoscibilità sul Registro Origini Italiano (uno dei due registri del Libro genealogico, l’altro è il Registro Supplementare Riconosciuti).

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